Antenati a sorpresa
Parlare di Luigi Lineri usando il linguaggio dei critici di mestiere sarebbe
fargli un grande torto. Non solo. Sarebbe anche inutile. Perché non si
riuscirebbe comunque a comunicare niente dell’intuizione che è all’origine della
sua storia.
A muovere tutto, sembra essere il caos: non confusione, ma esplosione di vita.
Con frammenti in ogni direzione.
La poesia dialettale, ad esempio. Due teneri minuscoli commoventi libretti:
“Péso de cel” (Ed.Vita Veronese-1974) e “Canto par i silensi e i pestoni” (Ed.
Perosini – 1987). Da leggere in silenzio.
Oppure i quadri. Testimoni di una ricerca durata un’intera vita. Chi ha la
fortuna di possederne qualcuno, è privilegiato.
E le sculture? Stesso discorso. Con la variante di un materiale espressivo, la
ceramica, il cui metodo d’uso non si trova in nessun altro posto. Non perché non
ci siano altre ceramiche artistiche in giro, ma perché non ce ne sono di egual
fattura. E nemmeno di simile.
Ma le pietre! Una ricerca durata venticinque anni. Secondo la sua teoria, sono
senza dubbio sculture primitive. Simboli di una vita perduta. Di una storia che
non riusciamo più a comprendere. Nel vortice della nostra quotidiana assurdità.
Luigi Lineri è l’arte senza squilli di trombe e fracasso di fanfare. Mentre gli
altri soffiano nei loro tromboni, egli nasconde il suo “ssiolotìn” per
proteggerlo dal rumore.
Nella sua casa di Zevio, vera mostra permanente, si respira aria di libertà.
Cultura con le ali. Neanche sfiorata dagli incubi della lottizzazione, dei
compromessi e di altre simili miserie. E’ possibile sognare. E crederci.
Di qualsiasi altro personaggio procurerei una foto a corredo del servizio. Per
lui no.
Non è un caso che Lineri viva a Zevio.
E’ quello il posto dove gli antichi umani hanno lasciato il testimone di pietra,
perché egli lo raccogliesse e lo tramandasse ad altri dopo di lui. E poi a Zevio
c’è tutto quanto gli serve.
Doveva essere un’intervista. Ho cambiato subito idea. Perché anche quella
sarebbe stata inutile. C’è l’opera sua da vedere, da toccare. Da amare.
IGINO MAGGIOTTO, Il graffio, Mensile di Attualità e Cultura del Territorio
Scaligero, n.8, Anno 2, Nov.1990
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