Intervista
Le fa piacere l’idea di vedere la sua opera raccontata su una rivista che si
occupa di arte marginale?
Ma è chiaro! Non solo per il fatto di uscire da Verona. Penso che sia simbolico
per uno come me. E’ dall’inizio dell’anno che cerco di far capire la cosa in
profondità a Verona, che cerco degli agganci di qualche persona che può darmi
una mano per fare le cornici. Le mie pietre così come sono, tutte accatastate,
con i pannelli uno sopra l’altro non dicono nulla a nessuno. Ecco perché parlo
di cornici. Sei pietrine con accanto una spiegazione possono anche non servire a
nulla. Le cornici sono per dare importanza…
Da un punto di vista artistico io sono appagato, più di così non potevo fare. So
che la mia ricerca ha un grande valore artistico e come documento storico. Poi,
quando le cose saranno sistemate per bene le vedrà anche un bambino. Il mio
sforzo attuale è nel portarne a casa il più possibile per fare questi pannellini
di spiegazione. Salvarne il più possibile perché tra pochi anni non sarò più
capace di andare in Adige. Quindi sta continuando a trasportare pietre.
Sì, tutti i giorni ci vado. Cerco le forme mobili, che possono essere spostate e
messe in mostra perché il pannellino sia il più chiaro possibile. Siccome le
forme si ripetono, accostare quelle più belle e dello stesso tipo è molto
esplicativo. Poi faccio lo schizzo, magari sotto ci metto “testa di cane”.
Chiuso. Oppure “testa di maiale” o “simbolo maschile”. Alla fine, quando hai
fatto le pietre chiave, le altre vengono da sole…mi sono interessato a vedere se
è possibile, attraverso la Regione, recuperare la struttura in metallo e cemento
per l’escavazione della ghiaia e metterci la mia collezione di pietre.
Sarebbe bellissimo! Un’eventuale mostra sarebbe perciò all’aperto, sul fiume.
Sì. In una struttura che era servita per distruggere la ghiaia io porterei la
ghiaia. Ma questo è un sogno…perché mi sono guardato intorno e ho visto del
freddo, del gelo terribile.
Ho pensato allora ad un’altra cosa: c’è un’altra struttura qui, molto antica,
del ‘400. E’ a tre chilometri da qui ed è detta “Il Torrazzo”. Se qualcuno la
compera si possono fare tante stanze e metterci dentro un museo con un bar,
qualcosa per fare una cosa pubblica.
Le prime teste che ha scoperto sono quelle di pecora e di pesce…
La prima scoperta in assoluto è stato il brivido! La prima volta che ho
interpretato la testa della pecora è stata un’emozione enorme. Ho detto “Mamma
mia, ma è scultura questa!”. L’avevo trovata in un torrente e poi ho provato a
vedere nell’Adige.
E ce n’erano delle altre.
Era una cosa impressionante! Subito non ho capito perché non ho capito i posti.
Vedevo le pietre, la ghiaia, erano belle, magari di pietra verde, bellissime. Le
raccoglievo perché mi piacevano come colore. Ma poi sono andato a beccare il
posto esatto.
Guarda, quando ho cominciato io qui era una cava a cielo aperto. Ce n’erano
decine, un disastro! Perché erano gli anni Settanta, si costruiva in Italia
c’era il boom dell’edilizia. Casini! Frantumavano tutto. Quando io ho cominciato
la cosa perché c’erano le sculture, mi guardavo attorno e dicevo “Ma questi sono
folli!”. Proprio una cosa impressionante. Il massimo della speculazione. Ruspe,
frantumazioni! Un casino impressionante. Addirittura facevano le strade nel
ghiaione. La mattina arrivavano centinaia di camion. Per me era da piangere.
Comunque quando sono stato in Adige, non vedevo soltanto la testa della pecora,
ma vedevo che c’era una distesa di altre sculture. E quindi dovevo raccoglierle
tutte ed era difficile per me interpretarle. Non capivo perché vedevo che erano
simili e allora correvo sempre di più. E’ pazzesco, infatti se ci fosse mia
moglie ti direbbe che in quel periodo era una cosa da diventare pazzi. Perché
facevo il turno, poi smontavo e poi 4/5 ore a cercare…
Addirittura l’Adige mi ha trascinato. Cioè una mattina mia moglie ha chiamato i
Carabinieri perché non ero tornato a casa. Avevo fatto la notte e invece di
venire a casa a dormire sono stato al fiume. Nel fiume ci sono le opere
idrauliche e hanno alzato la diga. Io sono rimasto in mezzo al ghiaione e poi mi
sono deciso a partire. L’acqua mi arrivava quasi al collo e avevo le pietre
sulle spalle che mi tenevano. Però mi trascinava! E questo è accaduto più
volte…Insomma questa è la mia vita in Adige.
E’ una cosa che non si è potuta fermare questa ricerca.
Trent’anni. E’ una cosa più forte di me. Io faccio i propositi perché mia moglie
non capisce. Magari riesco a star via nel periodo più caldo, anche perché le
pietre si vedono bene quando c’è la nebbia, per via delle venature.
Lei ha detto che le pietre erano doni all’acqua.
Sì sì, doni all’acqua. Doni all’acqua perché venivano dall’acqua. E poi erano
sempre legati agli animali e al sacrificio…guarda caso l’agnello diventa simbolo
di religione perché è l’animale più mite. Anche il pesce. Gli animali più miti
diventano miti. Guarda che gioco di parole! Gli animali più miti diventano un
mito. E la poesia è anche questo qua.
Le pietre erano qualcosa di sacro, di fatto l’accarezzavano. Di fatti
l’abrasione è quasi un consumo, un intervento quasi accarezzato.
I tempi per fare le teste saranno stati lunghissimi.
Loro si mettevano lì con sabbia e pazienza. Però secondo me c’era molto già
nella pietra. Quando la trovavano la vedevano già perché era già abbozzata dalla
natura.
Accentuavano una forma preesistente?
Accentuavano come fanno sempre gli artisti. Le più belle non è che siano le più
lavorate, le più belle sono le più astratte. In fondo cos’è l’arte? E’ quando
arrivi a dire molto con pochissimo.
Che cosa ha letto sugli uomini preistorici e sulla loro arte?
Questa mia ricerca è fuori dalla letteratura sulla preistoria. Ho letto “Gli
uomini della preistoria”, un libricino che ho trovato in biblioteca a S.Giovanni
Lupatoto, dove abitavo prima. Mi ha appassionato perché affrontava l’argomento
in modo non lessicale, non scolastico, lo vedeva come lo vedo io, come una
favola del tempo passato, con bonarietà.
Mi ricordo un consiglio che ho seguito, quello di stare attenti quando si scava
per non rischiare di distruggere degli strati che poi non sono più
ricomponibili. Io do ragione. Non ho mai scavato in vita mia. Che senso ha? Puoi
incappare in un fondo di capanna e poi cosa ti tieni? La punta di una freccia?
Io, per istinto, mi rapportavo sempre all’acqua. Animali e uomini hanno bisogno
dell’acqua e io la cercavo istintivamente in ogni luogo. Infatti l’acqua mi ha
guidato molto bene. Sono convinto.
Quello che vorrei che fosse capito, il messaggio, è quello che so, che ho
accettato in pieno, che mi sono caricato sulle spalle. Ed è pesante,
pesantissimo, una realtà enorme.
Buttare via la sub cultura è l’errore che hanno fatto le altre culture. La
cultura vera è un abbraccio e un sorriso. Per me la cultura vera è un abbraccio
e un sorriso verso le altre culture…
ELISABETTA PESCUCCI (a cura di), 1998
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